di Yana Stevoli
Caro diario,
mi sono sempre affidata a te, ma in questo difficile momento ne ho bisogno più che mai, ho tanti dubbi, tante preoccupazioni e tante riflessioni in me.
Innanzitutto mi chiedo: “Passerà mai quest’orribile pandemia? Questo nemico invisibile contro cui non si sa come combattere e cerca a tutti i costi di sopravvivere, trascinando con sé vite di innocenti persone, che avrebbero ancora potuto dare tanto al mondo, finirà?”. Io spero proprio di sì. Se il coronavirus non finisse mai, arriveremmo a vivere in una società in cui sopravviverebbero solo i più forti. A tante persone forse non importa, ma a me sì, eccome se mi importa, perché sono spesso i più deboli a insegnarci una delle cose più importanti: la speranza. La speranza non è solo sperare che tutto vada bene, ma è quella forza che c’è in ognuno di noi che ci permette di vivere, di dire: “Io ci provo, mi metto in gioco”, perché è proprio la speranza la più grande forma di coraggio.
Inoltre, se e quando il covid-19 terminerà, penso: “Avremo paura di rincontrarci e di abbracciarci o ne saremo felici?”. Forse un po’ entrambe le cose, saremo felici, ma ci sarà qualcosa dentro noi che ci darà un limite, che ci dirà: “Non avvicinarti troppo, sii contento, però ricorda ciò che era accaduto”.
Mi domando anche: “Perché ci sono delle persone che non ascoltano i politici, i medici, gli infermieri? Perché non pensano a tutte le persone che in questo momento stanno male e ai loro parenti?”. Questa è davvero una cosa che non riesco a capire. Se proprio non si vogliono ascoltare gli esperti si deve pensare ai malati, che sono bloccati in un letto d’ospedale, tanti intubati e altri ancora che muoiono, senza poter vedere i loro familiari, senza poter stringere loro la mano o dir loro addio, e si deve pensare alle loro famiglie, che non li possono vedere, né salutarli oppure onorarli con un dovuto funerale.
E poi. “Tutti i medici, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari, che hanno paura che, mentre assistono un paziente covid, si sposti di un solo millimetro la mascherina o la visiera e che non possono tornare a casa, cosa provano? Sono contenti di aiutare le persone o sono molto spaventati?”. Secondo me, anche in questo caso, sono entrambe le cose.
Adesso quasi tutti li consideriamo giustamente degli eroi, ma non pensiamo che lo erano anche prima, però agivano in silenzio, senza farsi notare. Dev’essere frustrante per loro pensarci. I loro parenti, che non hanno notizie o che li vedono solo in foto, col volto tumefatto dalle protezioni, devono avere una paura folle che essi contraggano il coronavirus e di non poterli più vedere di persona, ma di poter vedere solo quelle foto perché le cure non sono andate a buon fine.
Io posso in parte capirli perché mia nonna, a cui sono molto legata poiché mi ha dato tanto e mi ha sempre supportata e sopportata, è una oss che lavora in sterilizzazione e, dato che gli interventi sono ormai pochissimi, stanno trasferendo quasi tutti coloro che lavorano in quel reparto covid e io non riesco a sopportare quest’idea: le voglio troppo bene, però so che lei è forte e che quindi, se la dovessero mandare lì, ce la farebbe.
Solo due cose ho ancora da dire, caro diario. Soprattutto grazie ai medici, agli infermieri e agli oss che stanno lottando contro un fatale nemico invisibile per far andare avanti la nostra meravigliosa Italia; infine, se restiamo distanti, ma uniti, andrà tutto bene!